La villa d'un pompeiano, a Boscoreale di Salvatore
di Giacomo E ora - mi disse l'avvocato Pietro De Prisco, che m'ospitava a Boscoreale in una villetta in costruzione sulla via degli scavi - sono, caro signore, a sua completa disposizione (1). Eravamo, per dirla alla latina, nel tablinum della nuova casetta, da un lato, per una finestra, prospiciente sulla via polverosa che mena da Torre Annunziata a Boscoreale, dall'altro riguardante sull'ombroso giardino ove, al principio del viale solitario, un'erma biancheggiava sul verde. Era intorno a noi un grande silenzio e stava sulla campagna assopita un cielo fosco e pesante. Il Vesuvio, che vedevo di dosso, a volta a volta dava fuori pel suo cratere boccate d'un fumo denso e nerastro e ad ogni boccata un sordo e cupo brontolìo gli romoreggiava brevemente ne' fianchi palpitanti. In là, verso Resina, segnava il cielo grigiastro la linea nera d'una turba d'uccelli, fuggenti: nessun rumore, anche l'ora meridiana li interrompeva. E, nel giardino, i muratori merendavano in silenzio, seduti in giro a terra, bagnando nell'acqua il loro duro pan bigio. - Come son cominciati gli scavi? Per quale ragione mio fratello Vincenzo vi si è dedicato? A che ne sta? Che vorrà fare ancora? Non è vero? Ecco, probabilmente, le domanda ch'ellà è sul punto di rivolgermi -soggiunse l'avvocato, lasciando cascar nella sua tazza di caffè una terza pietra di zucchero. Sorbì due o tre sorsi dalla sua chicchera, accese un sigaro,
lanciò al soffitto qualche boccata di fumo e continuò: Difatti: ma m'ero messo a udir con molta curiosità la narrazione e non pensavo più ad altro. - Continui -dissi, bevendo d'un sorso il caffè e attaccando la seconda sigaretta. L'avvocato continuò: - Mio padre, Angelo Andrea, è morto sette anni fa, nel 1888. Eravamo in quattro figliuoli e il fondo limitrofo a quello del Pulzella fu diviso in parti eguali fra noi quattro (3). Toccò in sorte a Vincenzo la parte ove egli ha voluto continuare gli scavi iniziati dal suo vicino. I giornali - continuò l'avvocato - hanno ripetuto la favola che ci ha creato uno zio prete e una sua predizione miracolosa. E' una delle parecchie invenzioni alle quali s'è abbandonata la buona gente di Boscoreale; non può immaginare con che curiose e stravaganti circostanze narrative essa, da un pezzo, vada illustrando l'accaduto (4). L'ottimo zio prete ci avrebbe detto: Scavate, figliuoli; sotto le vostre viti è un tesoro! Ma, capirà, mio fratello non è uno sciocco e non aveva bisogno di suggerimenti: siamo a poca distanza da Pompei e pompeiana doveva essere la casa rustica della quale si svelavano le mura a mano a mano. Che avrebbe fatto lei? Mio fratello continuò lo scavo... - E scoperse? - Un secondo e un terzo cubicolo. Tutte e due queste camere, comunicanti fra loro e con quella che aveva esplorato il Pulzella, facevano parte del bagno. L'ultima, il caldario, aveva la sua vasca rettangolare rimpetto alla nicchia ornata e rivestita di stucco a spicchi: .la precedeva il frigidario, e uno spogliatoio, il così detto apoditerium precedeva questo. Sa -,soggiunse l'avvocato - non si scandalizzi del mio latinorum: è da un anno che sento parlar di cose simili e a furia di osservare e fare osservare, quando mi capiti, gli scavi e di leggerne, magari... - Dove? - Le dirò poi, certo non qui in Italia dove si è sempre gli ultimi a occuparsi delle cose nostre. Le dicevo, mi son fatto una cultura archeologica nella quale non osavo sperar null'affatto. Dunque: apoditerium, frigidarium e caldarium, bagno completo. Aspetti: si scava ancora e si ritrova il serbatoio dell'acqua, e poi vien fuori la caldaia, una famosa caldaia che presenta un sistema riscaldatore affatto nuovo. E poi, e poi vasi, anfore, utensili da cucina, vetri... Vedrà, quando le avrò mostrato il piccolo museo dove si conserva tutta questa roba interessante. E ora vogliamo scendere? - Dove andiamo? - Prima agli scavi. Poi le farò osservare il museo. Ci avviammo. Abbasso, nel cortiletto, addossati a un muro
e seduti per terra, con le gambe stese e aperte, con la testa reclinata sul
petto velloso i muratori, dopo la merenda, dormivano tranquillamente. Dalla casa
agli scavi ci precedette, sgambettando allegramente, il cagnuolo dell'avvocato. - È qui -annunziò l'avvocato. Il cagnuolo abbaiava davanti a una porta che interrompeva il muro della cupa, a manca. La porta s'aperse di dentro e la mia guida mi precedette. Allo stesso livello della strada si stendeva alla mia destra la porzione del fondo di Vincenzo De Prisco non ancora esplorata: a manca s'approfondiva di oltre dieci metri lo scavo, in quadrato, accessibile per una scaletta rozza mente praticata nella massa di pomice e di lapillo e di cenere. Di su la scala potevo, tutta in una volta, veder la villa dissotterata, i muri, diruti a mezzo, del suo pian terreno, le sue camere in fila, e di parecchie d'esse il leggiadro pavimento a mosaico. Contemplavo ardente mente quelle rovine, e alle mie interrogazioni, con fantasia ed immagini repentine, mi pareva che io stesso rispondessi, popolandole ed animandole. Il silenzio era alto; c'illuminava un sole velato e pesava su di noi quell'aria greve e molle che ho ritrovato in ogni mia escursione estiva a Pompei e che pare la natural caratteristica di que' luoghi re suscitati (6). Ecco dunque la parte rustica della villa con la sua culina
che ha nel centro un focolare e nella parte nord-est l'impronta di una enorme
scansia di legno, scambio del muro (vedi la pianta completa). - In questa camera - indicava la mia guida, facendomi passar dal peristilio nella stanza n. 1 - sono stati rinvenuti arnesi e istromenti rurali, vanghe, forcine, falci, zappe, in numero considerevole. Ponga mente alle pareti: ecco i chiodi da' quali parecchi di quelli utensili pendevano. E questo - soggiunse passando nella stanza n. 2 - è un cubicolo, e questa è un'altra cella - e m'indicò il n. 3 della pianta. La prima delle due camere ha pareti a fondo rosso, l'altra è dipinta di bianco, e tutte e due conservano, sciupata è vero, ma visibile, la lor gentile decorazione alla pompeiana. Un corridoio (xx) divideva le stanze n. 2 e n. 5 (quest'ultima non in tutto scavata) del vasto locale dei dolia, nel quale entravo, meravigliato. La ricchezza del proprietario antico della villa traspare da questa vastissima camera, nel cui pavimento affondano, fin a mezzo il ventre enorme, oltre cento di quei dolia immensi, così capaci da offrire una volta, come si narra, comodo ricovero a Diogene e stanza fresca e riparata ai mendicanti ateniesi. Gli immani vasi son disposti in linee parallele:. erano, come ho potuto vedere, usati non pure per la conserva del vino, quanto per quella del grano e della carne salata. Il magistrato li dichiarava immobili - dolia, licei defossa non sint - come le seriae, che sono delle varietà più piccole di quei recipienti. Il guardiano degli scavi scoperchia un di questi vasi e v'affonda il braccio e ne cava un pugno di grano; cava, da un altro, del miglio e me l'offre sorridendo. Lo serbo: del grano di milleottocento anni fa! Non se ne trova così spesso (7).
Ed ecco la stanza del portinaio (n. 4) con la porta a
nord-ovest, con una finestra a inferriata nel muro sud-ovest. Vi furono trovati
nell'angolo S l'impronta di uno stipo di legno con le sue cerniere d'osso a' lor
posti e quella d'un cadavere maschile, il custode forse, caduto asfissiato sulla
soglia. Il Museo ha fatto cavar le forme del cadavere e dello stipo: quella, di
gesso, dell'asfissiato è, nella prima copia, nel museo De Prisco. L'uomo giace
sul dosso: una gamba ha tesa, l'altra piegata; accosta la mano manca alla bocca
come per garantirsi dal vapore mefitico e soffocante onde rimasero
principalmente vittime quanti non riuscirono a scappare in tempo. - E questo, finalmente, è il bagno - m'annunziò la mia guida. La disposizione del bagno è quella che si ritrova a Pompei: il bagno pompeiano aveva tre fasi: un soggiorno assai breve in una atmosfera calda, un bagno d'acqua calda, un secondo d'acqua fresca, accompagnato da quel massaggio (Plinio. Ep. V. 6.26) che ci vien gabellato a' giorni nostri come una terapia fine di secolo. Alla prima operazione serviva la cella tepidaria, alla seconda occorreva la cella caldaria, alla terza la frigidaria: l'apoditerium era la cameretta in cui il bagnante si spogliava e si rivestiva. Il disegno n. II rappresenta, dunque, il bagno del villeggiante a Boscoreale. La camera A fu scavata dal Pulzella, che si arrestò, come ho detto, nella sua esplorazione, da che penetrava, anzi era già per buon tratto penetrato, nella altrui proprietà. Da questa camera A, che era l'apoditerium del bagno, con bel pavimento a mosaico, s'entra nella stanza B, ch'era il tepidario. Le mura hanno decorazioni d'un gaio motivo rustico: il guardiano degli scavi si china per rimover dal pavimento il terriccio e l'arena, e scovre un mosaico che raffigura , nel mezzo, un'aragosta di elegante e spigliato disegno a nero. La terza camera, C, è il caldarium: pavimento pur a mosaico, con nel centro una gru (8); pareti doppie, tra le quali correva il vapor caldo; vasca da bagno al posto D, che per via d'un foro basso comunicava col prefurnio M e precisamente con la caldaia F, e rimpetto, nell'altra parte del lato breve, la nicchia o schola, alla quale mancava illabrum, ch'è una vaschetta per lo più di marmo. La prima parete del caldarium, quella, dico, esteriore, ha nella sua faccia interna -che s'adatta sulla seconda parete -quelle tegulae mammatae ch'eran vestigia dell'antica maniera di riscaldamento ad aria calda: le due stanze B e C hanno pavimenti sospesi -suspensurae -invenzione d'un Caio Sergio arata, contemporaneo di Cicerone (VaI. Max. IX. S.S. "pensilia balinea primus tacere instituit"). Simili ipocausti raccoglievano il vapore dal prefurnio, e, per tubi che di là partivano, lo distribuivano tra la doppia parete. Fin qui nulla di straordinario: il nostro facoltoso pompeiano, ossequente ai precetti di Varrone e di Columella, aveva costruito questa rustica pars della sua villetta con tutte le norme della comoda e solida fabbrica: vi si recava ne' mesi di gran caldo dalla vicina Pompei; vi ritrovava prosperanti la vite e il pomerio, raccolto il grano ne' dolii capaci, serbato in anfore il vino squisito che vi invecchiava per lui e per gli amici e preparato il bagno con ogni occorrenza sua. CosÌ, ogni giorno, o all'ottava ora, o talvolta prima del prandium, egli si lavava nella pulita acqua del Sarno, e in quel caldario ove, dalla nicchietta di fronte ali 'alveo , quella fluiva con larga vena nel labrum, faceva la sua doccia, accoccolato sul levigato gradino della nicchia. Erano le tre camerette del bagno illuminate da finestrini, un de' quali appunto è stato ritrovato sulla schola o nicchia, con le grate di ferro e co' vetri; erano allegre e linde le piccole stanzucce, e dalla vicina via carrettiera nessun altro romore vi penetrava in fuori del tintinnar de' campanelli d'un bove che un villico accompagnava lentamente alla stalla. Solo in tanta pace, tra tante comodità, al discreto lume che penetrava in quelle cellette, il ricco pompeiano s'indugiava, quasi assopito, nell'alveo, e beatamente vi faceva traspirar la sua pelle aristocratica, risovvenendosi, con pietoso sorriso, della povertà di spirito dell'illustre Scipione, che si lavava in luogo oscuro e in torbida acqua lutulenta. La novità d'una circostanza del bagno di Boscoreale non riguarda la sua parte topografica: ce la offre, Invece, la caldaia del prefurnio. Scambio d'ottenere per tre caldaie tre temperature d'acqua pel bagno il patrizio villeggiante aveva trovato modo di averle con una sola, nella quale, con avveduto congegno, penetravano i tubi conduttori. Date un'occhiata alla pianta n. II. All'angolo ovest della culina è collocata su d'una base di fabbrica una cassa di piombo E, quadrangolare (0,84 per 0,91, profonda 0,64) ch'era il deposito dell'acqua fredda piovana o di quella di un acquedotto. Il tubo d'immissione v'entra dal lato sud-est. Dall'angolo S della cassa tre tubi vanno al prefurnio M e penetrano nella caldaia che è alta m. 1,90 e si compone di due cilindri di piombo. La sua bocca era chiusa da un coverchio di terracotta, piatto. E la caldaia sta sulla fornace di fabbrica che ha un passaggio pel fuoco e comunica con le suspensurae del caldario. Il primo tubo evidentemente portava dalla cassa alla caldaia l'acqua fredda e nella caldaia scendeva fino al fondo; il secondo ramifica avanti d'arrivare alla caldaia: un ramo vi penetra, prosegue l'altro, scorrendo sulla base di fabbrica della caldaia e su d'un podio, e va fino all'angolo ovest del prefurnio. Forse arriva al cal,dario, v'entra e vi sbocca nella nicchia, sullabrum: qui lo scavo non è stato continuato, ma la supposizione del dottor Mau potrà essere avvalorata man mano, come continueranno le ricerche. I due rami di questo secondo tubo al punto scoverto ove non ancora si dipartono mostrano una chiave, un'altra chiave è fra la biforcazione e la caldaia. Appare, dunque, chiaramente, che per avere acqua fredda nel labrum bisognava chiudere quest'ultima chiave e aprir quell'altra; quando si volesse acqua calda bastava praticare il contrario; aprendo le chiavi tutte e due la temperatura dell'acqua era moderata secondo il desiderio del bagnante. V'è un terzo tubo e questo pur si biforca:
un ramo penetra nella caldaia e l'altro che pur v'entra sbocca nella basca del
bagno del caldario: quando, tra la caldaia e la biforcazione si chiudeva la
chiave, mentre si apriva l'altra, vi penetrava acqua fredda, facendo viceversa
v'andava la calda: lasciando mescolar le acque si otteneva la temperatura
desiderata. Ecco una collezione varia di lampade e di lucerne la cui forma muta secondo che devono reggersi in piedi o devono rimaner sospese o devono esser tenute in mano: la gentile arte antica ne fa oggetti d'una plastica fantasiosa e vi raffigura, senza badare all'umiltà della cosa e delle sue funzioni, fin trasfigurazioni di Giove, ed orna di rilievi immagino si anche il rostrum o becco che la fiamma, quasi consapevole, seppe rispettar fino a tardi. Ecco gli aghi pe' sacchi e per le vesti, ecco de' suggelli o marche sopra una delle cui facce interne è a rilievo il nome L. BRIT. EROS; un altro di questi signacula ha la scritta: TI. CLAVD. AMPHIONIS. Ecco i vasi innumerevoli del vino, ecco le anfore ove il facoltoso signore lo lasciava stagionare, ancor chiuse da tappi di terracotta e suggellati da pece o da argilla. Alcune di queste anfore litteratae hanno sul ventre il nome del vino e quel del suo fabbricante o del fabbricante de' vasi: leggo su d'una: G. F. S C O M B R GEMINIAN e immagino di che squisite bevute lo sconosciuto epicureo doveva annaffiare i suoi pranzetti. A' quali faceva servire un prezioso vasellame, da quanto si può argomentare da' resti che ne rimangono e da quella collezione mirabile e rara che i giornali di Parigi ci hanno annunziata offerta dal Rotschild - che l'ha pagata mezzo milione - al Museo del Louvre (10). Su di una tavola è steso il gesso del
cadavere del villicus; sopra un'altra è il gesso del cadavere d'una vecchia la
quale ha sulla bocca un brano di panno che le si rannoda addietro dalla nuca.
Anche la vecchia soffocava: volle aver libere le mani e si provvide di quella
museruola il cui stampo rimase intatto, come la testa e le spalle della
sciagurata, nella cenere che la seppellì. - Civiltà completa - sorrise l'avvocato - si credeva anche allora alla jettatura, ma scambio di cornetti... Si tacque subito, interrompendosi. Entrava nel museo sua cognata, una gentile signora, in compagnia della signorina sorella - e venivano a curiosare anche loro (11). - Le dicevo, dunque - ripigliò l'avvocato saltando a pie' pari da un... soggetto all'altro - che i buoni pompeiani erano religiosissimi. Ecco per esempio una statuina che può essere un lare: guardi, è carina proprio. E osservi questo biberon a forma di lucerna puntuta: eccovi su l'immagine di una donna che allatta il suo piccino. Guardi, questi son campanelli e questi sono bicchieri e questi sono lagrimatoi, unguentarii, pestelli, mortai, fusi; e guardi un poco, questi son bottoncini d'osso a base piatta e a testa rotonda, proprio identici ai nostri del tempo nostro. Chi l'avrebbe immaginato? - E rinvenne molte monete suo fratello? - Sì, molte, un centinaio, e tutte o d'oro o d'argento. E una magnifica collana d'oro, e un piatto d'argento a sbalzo, con nel fondo una baccante. Peccato non sia in ottimo stato. - E a chi ha venduto, suo fratello? - A parecchi, in verità. Offriva da prima al Museo e se ne andava..., a mani vuote. Ha venduto quel tal bustino d'Agrippina al conte Tscwitz (12), parte delle monete a collezionisti, e la lanterna e il tavolo di bronzo e la bella patera col Proteo non ricordo più a chi. Ma, sa, con tanto di permesso in iscritto. Che vuole, mio fratello non si può permettere il lusso di una collezione, quando spende nello scavo tutto il suo. Scavi? Non si scherza, caro signore. Capisco, è un peccato che tutta quella bella roba non vada al Museo: ma che ci vuoI fare? non è colpa di chi la ritrova. - Ed ora gli scavi... - Sospesi, per ordine della Direzione degli Scavi (13). Il fatto si riferisce a quella tale vendita di Parigi. Ma sa lei - soggiunse accompagnandomi nella via dove m'aspettava la carrozzella per ricondurmi a Torre Annunziata - che per una delle più remote clausole di diritto privato mio fratello è padrone del suo fondo fino al centro della terra? - So che vi sono certe leggi... -Ah, caro signore, leggi stravaganti, per non dire immorali. Leggi che sottraggono alla scienza il suo miglior materiale e cercano di rovinare un privato che ha avuto il coraggio di affrontare delle spese enormi. Si vedrà. Fra tanto, ecco sospesi gli scavi. Bella soddisfazione per lo Stato! Magari ci farebbe riseppellire tutto quel che s'è trovato... Addio, caro signore, arrivederla. Mi stese la mano e strinse la mia con molta
cordialità. La carrozzella rifece la via di Torre, sotto il sole cocente e tra
un fitto polverìo.
NOTE
(1) Pietro De Prisco, avvocato, nacque a Napoli nel 1859. Fu per due gestioni consecutive Sindaco di Boscoreale dal 1898 al 1907. Esponente liberale, legò il suo nome alle prime effettive opere di risanamento del comune. Uomo di vasta cultura, forte tempra di amministratore, sagace ed onesto, sostenne sempre con coraggio gli interessi ed i diritti dei suoi concittadini. Mori il 5 gennaio 1921 a Boscoreale. La villetta di cui si parla è l'odierno palazzo Monteleone su via Settetermini, allora proprietà dell'avv. Pietro De Prisco, proprietario di vari fabbricati nel centro urbano e di appezzamenti di terreno alla Civita-Giuliana. (ritorna)
(2) Il cav. Luigi Modestino Pulzella, possidente, era chiamato dal popolo boschese «'0 cavaliere Burzella». Egli aveva sposato la n.d. Giovanna Zurlo, la quale nel 1906 effettuò lo scavo della villa rustica di N. Popidio Floro, nel fondo di sua proprietà in contrada Pisanella, oggi proprietà Faraone-Mennella (vedi No.fizie degli Scavi di Antichità, a. 1921, pp. 442-460). (ritorna)
(3) I fratelli De Prisco, figliuoli dell'avv. Angelo Andrea, erano sei e non quattro: Pietro, l'avvocato ospite del di Giacomo; Nicola, Primo Presidente di Corte di Cassazione; Vincenzo, lo scavatore delle ville rustiche, poi deputato liberale al Parlamento dal 1897 al 1904; Ferruccio, benestante; Luigi, colonnello medico; Marianna. L'avv. Pietro diçe nell'articolo che sono in quattro, e ciò si spiega solo con la morte a quella data (luglio 1895) di due suoi fratelli, senza eredi. Nota aggiuntiva (di Andrea de Prisco): dai risultati emersi dalle nostre ricerche, Angelandrea (questo il suo vero nome di battesimo) ebbe nove figli. Oltre a quelli giustamente citati da A. Casale nella sua nota, sono esistiti un precedente Nicola, morto nel 1852 ad appena 3 anni; Pasquale, nato nel 1850 e poi coniugato con Maria Di Fiore; Michele Angelo, morto nel 1873 all'età di sedici anni a seguito di un tragico incidente (un colpo accidentalmente esploso da un suo compagno di scuola nel mostrargli una pistola sottratta al padre) narrato nell'agenda di famiglia, compilata inizialmente dallo stesso Angelandrea sin dal 1846, e presente in questo sito.
(ritorna)
(4) Non solo la buona gente di Boscoreale è incorsa in errori, ma persino prestigiosi nomi dell'archeologia internazionale. Citiamo tra i tanti studiosi l'Egon Corti (Ercolano e Pompei). (ritorna)
(5) Il De Prisco accompagnò il di Giacomo lungo via Settetermini dall'odierno palazzo Monteleone (presso il passaggio a livello FF.SS..) fin allo scavo, posto appena dopo il ponte della ferrovia Circumvesuviana sulla stessa strada. Ancora fino a pochi anni fa caratteristica di via Settetermini erano i muretti dei fondi molto alti ed il fondo stradale sabbioso. (ritorna)
(6) Il fondo De Prisco oggi è proprietà del Sig. Giuseppe Cioffi, condialissima persona, che da a tutti la possibilità di poter visitare i pochi ruderi superstiti della importante villa rustica di Lucio Cecilio Giocondo. (ritorna)
(7) I dolii di cui parla il di Giacomo contenevano vino e soltanto alcuni, com'egli afferma, erano usati per contenere grano (si tratta in verità di uno o due dolii sugli 84 rinvenuti nella cella vinaria). Altri dolii erano usati per contenere olio, miglio e carne salata. (ritorna)
(8) Questo mosaico, delle dimensioni di circa mt. 2,20 x 1,60, si trova depositato in un palazzo di Boscoreale, esso fa parte di quei rinvenimenti rimasti proprietà del De Prisco e poi alla sua morte passati in eredità ad altre famiglie boschesi. Il mosaico, circondato da fascia nera, è ornato nel mezzo da una grande cicogna a tasselli neri rivolta a destra, verso un serpente disteso in corrispondenza della soglia. L'apoditerium aveva per pavimento un mosaico in cui era raffigurato a tasselli neri un granchio marino (e non un'aragosta) in mezzo a quattro anitre. Il tutto era inquadrato in una doppia fascia nera. Il tepidarium, invece, aveva nel pavimento un mosaico raffigurante un grande delfino, che a simbolo della sua docilità aveva appeso al collo un pendaglio a forma di tridente. Anche questo mosaico, a tasselli neri su fondo bianco, era circondato da una fascia nera. Entrambi i mosaici furono acquisiti al patrimonio dello Stato Italiano. (ritorna)
(9) Salvatore di Giacomo aveva ragione; la caldaia aveva un valore enorme per la conoscenza del funzionamento dei bagni privati nell'antichità. Vincenzo De Prisco munificamente la donò allo Stato, insieme ad altri 410 oggetti tra reperti vari e pitture provenienti dalla «villa del tesoro». Oggi essa è conservata presso la Sezione Tecnologica del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. (ritorna)
(10) L'Autore si riferisce al tesoro di argenterie scoperto nella villa, detta appunto del tesoro di Boscoreale, ma conosciuta anche come villa di Lucio Cecilio Giocondo o villa Pisanella. Questo tesoro composto da 109 pezzi quali coppe, specchi, tazze, piatti, cucchiai, zuppiere, saliere, porta-uova, scodelle, mestoli, tutti d'argento, era stato scoperto il 3 aprile 1895 e subito venduto dal De Prisco al barone E. De Rothschild. (ritorna)
(11) La cognata dell' avv. Pietro di cui si parla è la moglie del Presidente di Corte di Cassazione Nicola, baronessa Maria Pempinelli, la quale aveva una sorella a Napoli. (ritorna)
(12) Il bustino d'argento detto di Agrippina fa parte ora delle. collezioni del British Museum di Londra (inv. 1895. 6-22.1). (ritorna)
(13) Proprio in quel periodo era scoppiata la« bomba» del tesoro d'argenterie venduto in Francia, quindi gli scavi De Prisco erano stati sospesi (giugno 1895) per ordine del Ministro Baccelli. Ma di Il a poco furono ripresi, esattamente 1'11 maggio 1896 e continuati fino a riportare completamente alla luce l'intera villa. Anzi l'on. De Prisco intraprese scavi di ville rustiche in molti fondi limitrofi per tutto il periodo che va tra il 1897 ed il 1904. (ritorna)
(14) Per la villa in questione vedi:
(ritorna)
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