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Da Boscoreale al Louvre, la "fuga" del tesoro
Esigenze di tutela e vuoto legislativo alle soglie del XX secolo


di Gina Carla Ascione


(articolo tratto da "IL TESORO DI BOSCOREALE", ed. FMR, agosto 1988)

Le vicende che accompagnarono il rinvenimento del "Tesoro di Boscoreale" e la sua esportazione clandestina in Francia restano ancora avvolte nel mistero, nascoste in un'atmosfera quasi leggendaria. Il fitto carteggio, le denunce, le relazioni, le polemiche, lo scandalo, che emergono dallo spoglio dei documenti e dei giornali d'epoca, contribuiscono solo in parte a chiarire le vicende che accompagnarono la scoperta, sulla quale tuttavia si coglie una sorta di omertà e di tacito consenso da parte delle autorità preposte alla tutela delle cose d'arte. Tutti sanno qualcosa, i giornali francesi e italiani fanno un gran chiasso in proposito, in Parlamento si grida allo scandalo, ma nessun personaggio -a partire dagli operai incaricati dello scavo, fino al ministro dell'Istruzione e al procuratore generale della Corte d'appello -sono in grado o vogliono produrre prove concrete contro il proprietario del fondo in cui era stata fatta la scoperta: Vincenzo De Prisco, funzionario del ministero delle Finanze, archeologo dilettante, per passione e soprattutto per interesse.

Il "Tesoro di Boscoreale", alcuni dei reperti
 più interessanti. 

Seguendo il trasferimento clandestino degli argenti di Boscoreale e il rinvenimento di numerosi altri oggetti preziosi o di uso comune, venduti in Italia e all'estero, emerge -accanto alla connivenza o all'ingenuità di alcuni personaggi dell'epoca - un 'Italia unita da troppo pochi anni per poter disporre di una legislazione unificata ed efficace nella tutela dei beni culturali. Per il territorio napoletano, non resta che appellarsi ai superati decreti ferdinandei, ai quali più volte si fa .cenno, ma che non rispondono alle mutate condizioni politiche della nazione. Siamo negli anni del secondo governo Crispi (dicembre 1894 - marzo 1896), caratterizzati sul piano economico da una energica azione promossa dal Sonnino, ministro delle Finanze per risanare il bilancio e riordinare la circolazione e il credito, attraverso una politica di fortissime economie e l'aumento del carico fiscale. Ai settori meno produttivi come l'Istruzione, che comprende anche gli scavi archeologici e le Belle Arti, è destinata una parte esigua delle finanze dello stato, volte piuttosto a coprire le ingenti spese della politica coloniale. Inutile risulta quindi l'appello del Direttore del Museo di Napoli al ministro per ottenere nuovi fondi di tale entità da permettere l' acquisizione alle collezioni statali di oggetti rinvenuti in terreni di proprietà privata. La politica estera di Crispi, ancora una volta impostata in senso triplicista e antifrancese, rende vana la richiesta dell'archeologo Giulio De Petra di utilizzare le vie diplomatiche per ottenere dalla direzione del Louvre notizie circa l'esportazione clandestina del "tesoro di Boscoreale", nella speranza di un eventuale recupero.

Sullo sfondo le due imponenti
"Coppe degli aironi".

Ad accrescere i dubbi e a confondere le idee agli addetti ai lavori contribuisce l'incertezza legislativa: in mancanza di una regolamentazione nuova, ci si appella ancora ai decreti dei passati governi. Inizia così uno stillicidio di violazioni delle vecchie leggi, che sono adottate sì dal nuovo stato ma vengono considerate inapplicabili dalla magistratura.
Quanto poi a una nuova legge di tutela, le sollecitazioni sono continue e le invocazioni riempiono molte pagine dei resoconti parlamentari, ma le difficoltà da superare appaiono insormontabili dovendosi conciliare lo spirito coercitivo e autoritario dei precedenti decreti con l'inviolabile diritto alla proprietà privata. La vecchia legislazione degli stati preunitari, ancora vigente sul piano formale nelle singole regioni, non riesce in realtà a colmare un sostanziale vuoto legislativo, sia perché sono venuti a mancare i presupposti giuridico- amministrativi degli antichi stati, sia perché si trattava di norme valide nella situazione storica precedente, che erano divenute ormai improponibili sul piano di una concreta applicazione. Numerosi progetti di legge per la tutela dei beni culturali furono presentati in Parlamento all'indomani dell'Unità, ma furono, in una maniera o nell'altra, tutti elusi, fino ai due disegni di legge del ministro Gallo del 1898 e del 1900. Quest'ultimo, fatto proprio dal ministro Magi, fu finalmente approvato nel 1902 e divenne la prima legge generale di tutela dell'Italia unita.
La scoperta di una villa rustica nel territorio di Boscoreale, nella contrada detta "Pisanella", avviene ai primi di settembre del 1894, quando Vincenzo De Prisco, dando inizio ai lavori per la costruzione delle mura di cinta e per l'apertura di una cava di lapillo in un terreno di sua proprietà, s"i imbatte in ruderi "che lasciano supporre l'esistenza di una casa pompeiana". In data lO settembre il fortunato scopritore dichiara in una lettera al ministro per l'Istruzione Guido Baccelli - inoltrata tramite la direzione del Museo di Napoli - che i lavori da lui intrapresi non possono interrompersi senza grave danno, e pertanto chiede l'autorizzazione al proseguimento, impegnandosi ad attenersi alle disposizioni del decreto del 1822. 

Due immagini del "modiolo degli scheletri",
incredibilmente ricco di finissimi particolari.

Il tono della richiesta appare volutamente ambiguo, poiché il De Prisco parla di una generica "autorizzazione", senza specificare se essa si riferisca ancora alla cava di lapillo o piuttosto allo scavo di oggetti di antichità. I lavori procedono dietro autorizzazione ministeriale sotto la sorveglianza del direttore del Museo di Napoli Giulio De Petra e dell'ispettore Sogliano,fino al rinvenimento di una caldaia e di altri materiali in bronzo. Per essi lo scopritore propone una vendita allo stato, ma per una cifra tanto alta che non può essere presa in considerazione dai funzionari degli scavi, e neppure dal ministro. Il primo rinvenimento di una certa importanza -e l'inizio della polemica con il De Prisco - risalgono al primo febbraio 1895, quando il direttore De Petra telegrafa al ministro che negli scavi è stato ritrovato un "bustino muliebre" d'argento, forse raffigurante Agrippina, in perfetto stato di conservazione e databile al I secolo d. C.; il proprietario del fondo, aggiunge, ha già ricevuto un 'offerta di duemilacinquecento lire per l'acquisto.
Nel telegramma De Petra chiede autorizzazione al ministro per acquistare, alla stessa cifra, l'oggetto, alfine di arricchire le collezioni del Museo di Napoli. A distanza di pochissimi giorni e prima di aver ricevuto una risposta in proposito, il direttore del Museo è però costretto a comunicare che Vincenzo De Prisco ha provveduto già alla vendita dell'oggetto d'argento al conte russo Tischewicz, noto collezionista residente a Roma. Dura e polemica nei confronti del De Prisco appare in questo momento la posizione del ministro Baccelli, che invoca a gran voce "le antiche leggi:', con cui si stabiliva il divieto di esportazione degli oggetti d'arte senza autorizzazione in tutto il territorio dei precedenti governi, "sicché il vendere a Roma un oggetto trovato a Napoli senza averne avuto prima il permesso è già infrangere la legge". Ulteriori rinvenimenti si verificarono nei mesi successivi: materiali preziosi, come grossi bracciali e una "lunga e massiccia" collana d'oro, un centinaio di aurei imperiali, numerosi vasetti d'argento di varie forme e dimensioni, "taluni conservatissimi", ma la richiesta di De Petra di speciali fondi ministeriali per l'acquisto, viene accolta dal Baccelli con freddezza.

La "Coppa d'Africa" uno degli oggetti
più interessanti del Tesoro di Boscoreale
.

Con un improvviso cambiamento di umore, il ministro accusa il direttore di avere sperperato le risorse economiche del Museo in altre spese perdendo così l'occasione di arricchire le collezioni statali con oggetti di rilevante importanza. Inoltre rincara le accuse affermando che "fu certamente grave errore permettere gli scavi di Boscoreale", e che si sarebbe dovuto prendere a modello il periodo della direzione del Fiorelli che non concesse mai ad "alcuno il permesso di scavi presso Pompei". La lettera di ingiustificata polemica nei confronti del solerte direttore del Museo di Napoli, accusato velatamente di incompetenza per aver espresso parere favorevole agli scavi e non aver previsto l'importanza dei ritrovamenti, si conclude con un invito ad "escogitare... un qualche modo di salvare pel Museo di Napoli almeno alcuni di quelli oggetti". A distanza di pochi giorni, in una nuova lettera al De Petra, il Baccelli pensa di risolvere sbrigativamente la questione revocando l'autorizzazione a Vincenzo De Prisco, dal momento che a questi era stato permesso di scavare nel suo fondo con scopi ben diversi dal rinvenimento di materiali archeologici.
Nei mesi successivi, tuttavia, il De Prisco, nonostante l'invito a sospendere i lavori -che nel frattempo erano stati allargati a una proprietà limitrofa -continua la sua opera di archeologo dilettante, con grande inquietudine del De Petra, il quale ancora una volta chiede chiarimenti al ministro. Nei due decreti ferdinandei -egli precisa -si parla soltanto della possibilità di sequestro di antichi oggetti non rivelati o alienati senza la "sovrana approvazione mentre non si fa cenno alla possibilità di impedire scavi fatti senza la debita autorizzazione. "Bisognerà dunque aspettare -continua De Petra - che si scoprano degli oggetti, per ricorrere al magistrato, ovvero si può fin da ora sospendere qualunque operazione di scavo...?". 

Due patere a fondo piatto in argento con manico decorato.

Prima che ci sia il tempo di riflettere e decretare sull'argomento scoppia lo scandalo. "Da fonte sicurissima" viene riferito alla direzione degli scavi di Pompei, e con una concitata relazione del 24 giugno 1895 il De Petra trasmette al ministro Baccelli la notizia, dell'esportazione clandestina a Parigi, da parte dell'antiquario napoletano Ercole Canessa, di una "collezione di ventotto vasi antichi di argento", che era stata presentata agli inizi del mese di giugno sul mercato antiquario della capitale francese. Poiché nessun privato era stato in grado di fare fronte alla richiesta di centoventicinquemila franchi, lo stesso Canessa si era presentato alla direzione del Museo del Louvre, portando un gruppo ancora più numeroso di vasi d'argento, per i quali chiedeva un prezzo di mezzo milione di franchi. Che il Canessa già in passato avesse lavorato per la vendita di oggetti estratti dagli scavi De Prisco e regolarmente autorizzati, era fatto noto alla direzione del Museo Archeologico. Il De Petra confida nell'aiuto del ministro per ottenere, per via diplomatica, dai responsabili del Louvre prove inconfutabili della colpevolezza del De Prisco. Una brusca e immediata risposta del ministro esclude invece il ricorso alle vie diplomatiche, aprendo piuttosto la possibilità di un 'indagine condotta dall'autorità di Pubblica Sicurezza della provincia di Napoli, non contro i proprietari del fondo, bensì contro l. i custodi che prestavano servizio nella zona della "Pisanella". Con autorizzazione ministeriale in data 5 luglio, tuttavia, De Petra sporge querela al procuratore del Re contro Vincenzo De Prisco e conniventi, e costituendosi contemporaneamente parte civile chiede il patrocinio della Reale Avvocatura Erariale.

I due lati dell'oinochoe, brocca per il vino,
 in argento parzialmente dorato

Frattanto cerca prove sulla colpevolezza di De Prisco attraverso le notizie riportate dai giornali francesi, spergiurando invece sulla buona fede e l'assoluta estraneità ai fatti delle guardie assegnate alla custodia dello scavo. Infatti, il rinvenimento del tesoro di argenterie può essere avvenuto in qualche giorno di cattivo tempo o festivo o anche di notte, quando, in assenza dei custodi, il De Prisco "ha potuto aver l'agio di scavare clandestinamente". Le ipotesi formulate da De Petra trovano conferma nell'inchiesta svolta da Pasquale Cobianchi, sottoprefetto di Castellammare di Stabia e delegato di Pubblica Sicurezza, che -ascoltate le testimonianze di Antonio Cirillo ufficiale postale, e degli operai scavatori Luigi Prisco, Giovanni Arpaia, e Michele Prisco -arriva alla conclusione che nel il mese di giugno 1895 Vincenzo De Prisco era a Parigi, dove si trattenne parecchi giorni -forse in compagnia dell'antiquario Canessa -per la vendita dei preziosi reperti. Dalle testimonianze degli operai si deduce che durante lo scavo, quando il capomastro Michele Finelli, uomo di fiducia dei proprietari, si accorgeva della presenza di qualche oggetto in metallo prezioso, immediatamente lo ricopriva di terra e allontanava gli uomini di fatica, "curando poi di estrarlo" in un altro momento "per non far scorgere che cosa fosse". In particolare i tre operai concordano nel testimoniare che il giorno 1 aprile 1895, Sabato Santo, il Finelli nello spostare una "mano di lapilli da una specie di pozzo, scoprì alla vista di quelli che gli erano vicino molti oggetti che dal luccichio mostravano appunto di essere di metallo prezioso". Vincenzo De Prisco fece allora ricoprire lo scavo e - benché fosse ancora giorno - mandò via gli operai, dando loro doppia paga e rimase sul fondo insieme col Finelli. Nessuno dei tre testimoni è in rado di dimostrare che in quella occasione fu rinvenuto il celebre tesoro di argenterie poi esportato in Francia, ma tutti concordano - con una sorta di malcelata acredine -che gli oggetti preziosi erano sempre nascosti e sottratti dal proprietario agli sguardi indiscreti degli addetti ai lavori. La testimonianza del fedelissimo Michele Finelli non getta nuova luce sull'indagine. "Ignoro completamente che i sig.ri De Prisco abbiano rinvenuti degli oggetti di metallo prezioso. So che ne hanno trovati alcuni di terracotta e due vasche per bagni di bronzo...", afferma alle pressanti domande del delegato di polizia e termina la sua deposizione con un secco: Null’altro so. Contemporaneamente all'indagine giudiziaria, viene svolta una ricerca da parte del senatore Francesco Brioschi, che ne rende noti i risultati in una lettera dell'agosto 1895 al ministro Baccelli. La relazione prende le mosse da una serie di riflessioni sull'incompletezza del decreto di Ferdinando I del 14 maggio 1822 e sulla cattiva applicazione di tale regolamento, poi passa a occuparsi dei rapporti intercorsi tra Vincenzo De Prisco e la direzione del Museo di Napoli. Alle numerose proposte di vendita di oggetti da parte del proprietario del fondo, De Petra -secondo le indagini svolte dal Brioschi -aveva sempre risposto negativamente a causa dei persistenti problemi finanziari, fino a una lettera, in data 23 marzo, nella quale comunicava addirittura al De Prisco che gli oggetti da lui rinvenuti "non hanno... nessuna importanza speciale. Ella quindi può farne a suo piacimento quell'uso che creda migliore. E questo valga anche per tutti gli altri oggetti da lei denunziati fino al detto giorno".

Specchio con la raffigurazione di Leda,
simbolo di sensualità.

Questo atteggiamento di "somma indifferenza " e la "mancanza di mezzi di acquisto" avrebbero invogliato il De Prisco - interrogato personalmente dal senatore Brioschi -"al grave passo del trafugamento dei noti vasi di " argento. "Il fatto è certamente biasimevole, anche ammettendo le attenuanti", continua il Brioschi, ma, appellandosi all'articolo 5 del decreto ferdinandeo Vincenzo De Prisco si è dichiarato unico proprietario degli oggetti scavati, e quindi padrone di venderli al migliore offerente. Qualche sospetto di complicità, o meglio di negligenza, viene addebitato alle guardie Carpentieri e Iannone ed esclusa invece per il terzo custode di nome D'Amico, imputabili più all'ignoranza che alla cattiva fede. Più severa è l'opinione del Brioschi su Giulio De Petra, che pur giudicato "scienziato di valore.. . persona onestissima... e uomo buono "viene ritenuto incapace di occuparsi di cose diverse dai suoi studi, e, mancandogli "le qualità di uomo d'azione, non tutta l'opera sua egli ha potuto porgere a costituire quel tipo di direttore degli Scavi, che lo stato può desiderare". Sempre più urgente si presenta perciò, dopo il "doloroso fatto di Boscoreale", la necessità che "prendendosi siccome punto d partenza il rescritto Ferdinandeo, si formuli un regolamento temporaneo, al quale funzionari d qualunque grado debbano attener: nella materia degli Scavi". La completa indagine svolta dal senatore Brioschi, i suoi dubbi e le sue incertezze per la mancanza di una chiara regolamentazione inducono il ministro Baccelli, nel successivo mese di settembre ad inviare una relazione al senatore Giuseppe Borgnini, procuratore generale della Corte d'appello di Napoli. In essa il ministro- facendo sue molte delle conclusioni del Brioschi -si chiede se è il caso che il governo dia seguito al procedimento giudiziario iniziato contro il De Prisco, oppure sia preferibile "addivenire con lui ad un bonario componimento", che avrebbe il vantaggio di "eliminare scandali e recriminazioni". Per assicurare un buon andamento alle trattative e soprattutto per non compromettere il prestigio del Governo, l'iniziativa dell'accomodamento - continua diplomaticamente il ministro Baccelli -dovrebbe partire dal sig. De Prisco".
La posizione del senatore Borgnini concorda sostanzialmente con quella del ministro dell'Istruzione, seppure con qualche perplessità, per avere il Vincenzo De Prisco apertamente violato i due decreti di Ferdinando I, nei quali è testualmente affermato che "è proibita la esportazione dai Reali Domini di ogni oggetto di Antichità o arte, ancorché di proprietà privata, senza uno speciale permesso...". Le lettere del direttore del Museo di Napoli che autorizzavano Vincenzo De Prisco a disporre liberamente dei materiali rinvenuti, datate Il febbraio e 23 marzo 1895, si riferivano a reperti scavati in . precedenza, non certamente al tesoro di argenterie portato alla luce solo nell'aprile dello stesso anno, il cui ritrovamento non fu mai denunciato. L'unica attenuante per Vincenzo De Prisco - continua il procuratore - è rappresentata dalla "sfiducia che aveva dovuto produrre in lui il contegno e le ripetute dichiarazioni del direttore del Museo, che ripetutamente aveva confermata l'assoluta impotenza dell'amministrazione... di prevalersi del diritto di prelazione da quei due decreti ad ." essa riservata . 

Tre brocche in bronzo e in argento.

Frattanto, nella proprietà De Prisco a Boscoreale, i lavori di scavo, nonostante il divieto, continuano fino all'intervento dei carabinieri, inviati il 4 dicembre 1895 dal prefetto di Napoli su richiesta del ministro dell'Istruzione. Nell'Italia dei compromessi e dell'approssimazione viene intanto emessa la sentenza a carico del De Prisco, con l'indicazione a "non farsi luogo a procedimento penale per inesistenza di reato", non esistendo prove concrete dell'esportazione clandestina. Inoltre gli viene riconosciuta la possibilità di proseguire i lavori di scavo nei quali egli non "fece altro che esercitare il suo diritto di proprietà, senza contravvenire menomamente al disposto del Decreto Ferdinandeo". 
Lo spiacevole episodio si conclude con una proposta di accordo stilata dal senatore Borgnini e inviata al nuovo ministro dell'Istruzione Emanuele Gianturco, il 19 aprile 1896. L'accordo,firmato dalle parti il 28 aprile 1896 e successivamente pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero, conferma a Vincenzo De Prisco e ai suoi fratelli la licenza di eseguire scavi "per la ricerca di oggetti e monumenti antichi" nei terreni di i loro proprietà, purché si attengano a tutte le istruzioni che verranno impartite dall'autorità competente. L'orario degli scavi sarà regolato, d'accordo con la direzione dei Musei e degli Scavi di Napoli, secondo la consuetudine locale per i lavori agricoli; tutti gli oggetti antichi che verranno scoperti saranno denunziati, registrati in appositi elenchi e tenuti a disposizione dei funzionari statali che li volessero esaminare e studiare. Lo stato si assicura inoltre il diritto di prelazione e la riduzione di un terzo del prezzo di stima, pagabile in periodo di cinque o dieci anni a seconda del valore degli oggetti.
A parziale riparazione degli spiacevoli avvenimenti precedenti "il sig. De Prisco, volendo dimostrare il suo vivo desiderio di tenersi in buoni rapporti col Governo ed anche in transazione delle controversie pendenti... dona al Governo quegli... oggetti attualmente da lui posseduti, i quali fossero reputati degni di essere aggiunti alle collezioni dello Stato, a scelta del Direttore del Museo di Napoli. Su ciascun oggetto sarà apposta una targhetta indicante la sua provenienza…". Il nuovo stato unitario italiano - che esce sostanzialmente sconfitto da questo episodio - dovrà stentare ancora qualche anno per emanare una legge-quadro nazionale capace di riassorbire e ammodernare i metodi proposti dalle antiche regolamentazioni dei passati governi. Soltanto nel 1902 verrà imposto un meccanismo legale completamente nuovo che, sia pure attraverso molte modifiche successive, fornisce ancora la base dell'attuale legislazione.

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Gina Carla Ascione, autrice dell'articolo, è Direttore storico dell'arte presso la Soprintendenza archeologica di Pompei. Si è occupata, tra l'altro, del progetto scientifico, del coordinamento e della direzione dei lavori di restauro per la mostra "Pitture nella Reggia dalla Città sepolta" (Portici, 13 marzo - 4 luglio 1999) riguardante il materiale archeologico delle città sepolte di Pompei Ercolano e Stabia, di ritorno da una mostra itinerante che ha raggiunto anche il lontano Giappone nel 1997. Ulteriori informazioni sull'evento sono reperibili all'indirizzo Internet:
http://www.interviu.it/avvenime/arte/arte1.htm

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