di Arthur Sambon
La cittadina di Boscoreale, da qualche anno, è divenuta celebre negli annali archeologici. Il vasellame d’argento, oggi al Museo del Louvre grazie alla munificenza del barone Edmond de Rothschild, l’importante tesoro in monete d’oro, i cui i pezzi più rari di Galba, Otone e Vitellio erano in abbondanza, e il ricco mobilio acquistato dal museo di Berlino, sarebbero stati già sufficienti a quella fama, quando una scoperta ancor più felice vi aggiunse nuovo splendore. Il deputato Vincenzo de Prisco, a cui si deve l’iniziativa di questi scavi, continuava, nel 1900, l’esplorazione dei dintorni della villa della Pisanella, e, dopo lunghi ed infruttuosi lavori, stava per rinunciarvi, quando, a diversi metri di profondità, delle pitture meravigliose apparvero sotto il lapillo. Una delle ville più lussuose e più artistiche dell’epoca sorgeva un tempo su queste deliziose pendici del Vesuvio, dominando uno degli angoli più ridenti della costa, in prossimità della tranquilla città di Pompei. Ed è del tutto naturale che dei ricchi patrizi, cercando nei soggiorni di campagna una fuga dallo stress cittadino, fossero stati sedotti dalla felice situazione di queste colline ai piedi del Vesuvio, allora inoffensive e verdeggianti, che svelavano ai loro occhi un panorama delizioso. Dalla raffinatezza del lusso, che le conquiste dei Romani in Asia avevano diffuso, le pitture che ornavano i muri di questa villa sontuosa, forse, non avevano uguali in molti dei palazzi di Roma. Non conosciamo il nome del ricco patrizio che aveva fatto costruire questa gradevole casa, ma le opere d’arte rinvenute fanno supporre che fosse appassionato di musica e di sport; molte pitture rappresentano gare di atleti e di musici, e su di una parete si vede anche la "table des jeux" carica di premi, di corone d’oro e di attrezzi agonistici.Barnabei e Sogliano hanno ricercato con rara pazienza ogni documento che poteva fare luce su questa casa: un prezioso graffito ci dice che la villa era stata venduta all’asta il 9 maggio dell’anno 12 d.C., sotto il primo consolato di Germanico: una misura di capacità, trovata accanto alla villa rustica, riportante il nome di P. Fabio Sinistore, aveva fatto dapprima pensare che l’ultimo proprietario si chiamasse così; ma un timbro di bronzo scoperto più tardi in una delle camere suggerisce un altro nome, quello di Lucio Erennio Florio. Su una tavoletta in pietra, nascosta sotto l’intonaco, si legge il nome del costruttore della villa, Mario STRUCTOR, accompagnato dall’attrezzo, la cazzuola, che simboleggia il suo mestiere. Al momento della catastrofe, la casa era in riparazione; aveva probabilmente patito gli effetti del terremoto dell’anno 63, che fece moltissimi danni: la sala da bagno era in rifacimento, così come si stavano trasformando le camere da letto. Solo la villa rustica era abitata; dappertutto, tra l’altro, erano stati tolti i mobili e gli oggetti minuti. Nel Peristilio è stato trovato un piedistallo di marmo sprovvisto della sua statua. Le
pitture appartengono a due epoche differenti: le più antiche (architettura
severa, imitazioni di marmi preziosi, pannelli con grandi figure) risalgono
probabilmente ai primi anni della nostra era; le altre in cui domina già il
rotato e l’orrore del vuoto sono certamente posteriori alla vendita del 9
maggio dell’anno 12 dell’era cristiana. Vediamo in questi ultimi delle
prospettive accentuate, ma le fantastiche e capricciose volute (ornamenti del
capitello ionico e corinzio, raffigurante una foglia che si accartoccia, ndt),
così severamente bandite da Vitruvio,
non vi si trovano. Fin qui l’arte alessandrina non è stata oggetto di uno studio serio; non bisogna fermarsi alla massa di oggetti che appartengono alla lunga decadenza di quest’arte sotto l’impero romano, ma alla forza creatrice degli artisti della grande epoca tolemaica, il terzo secolo a.C., durante il rinnovamento letterario e la fioritura di questa squisita poesia pastorale, di cui troviamo l’eco in più di una pittura di Boscoreale. In quel periodo, l’arte della Grecia si spegneva in una lenta decadenza; quello della Magna Grecia, dopo un breve sollevamento, scendeva al suo ultimo gradino... una preziosità insipida; quello degli Etruschi era da lungo tempo insignificante; del resto l’arte italiana non si era mai affermata. Fu in questa atmosfera impoverita o barbara che poco a poco arrivarono, come raggi di sole, i prodotti dell’arte alessandrina: le figurine in bronzo, in argento, in terra cotta, di un realismo impressionante, il vasellame d’argento abbellito da ornamenti mai superati. Era lo spirito moderno che cominciava ad avanzare. I Romani resteranno a lungo affascinati da questa importante rinascita artistica, e le pitture di Pompei, fino al primo secolo della nostra era, ne sono l’eco più fedele. Il de Prisco ha il merito di aver salvato queste pitture. Era imminente la stagione delle piogge e le decorazioni della villa, a dieci metri di profondità, sarebbero state sicuramente danneggiate se il deputato di Boscoreale bon si fosse deciso di farle emergere, malgrado le spese enormi e le difficoltà frapposte dall’Amministrazione delle Belle Arti. Si sa che la preziosa figura del Sarno, trovata da M. Matrone, è stata distrutta dalle acque.
|